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il senso della verticalità o del demoniaco industriale
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Alla nostra vista di anime bipedi, la verticalità conferisce la sensazione e il sentimento della profondità e del profondo. Buren nel decidersi tra l’orizzonte limitato delle fasce piatte e quello infinito di quelle verticali, ha scelto queste ultime.
Una scelta, all’apparenza semplice, che poneva l’artista francese al centro della modernità occidentale e allo stesso tempo lungo il sentiero di una tradizione centenaria, fino a risalire al medioevo e alla condanna religiosa del cattolicesimo per ogni pattern decorativo a bande parallele, poiché era il marchio del maligno.
Ma anche nella storia francese, guardando alla colonia penale dell’isola del diavolo nella Guyana tropicale, le bande ripetute verticali o orizzontali erano intese come le forme del diavolo, o meglio di quei poveri diavoli criminali condannati a morire in quell’anfratto sperduto di mondo colonialista.
Picasso, però, fu il primo artista – oltre ai condannati della Guyana – ad eleggere quale elemento iconico e distintivo dall’abito borghese, un vestiario a strisce, imprestato dai marinai, altri diseredati nelle liste di proscrizione della società perbenista.
Poi venne Buren che trasformò tale simbolo negativo in una nuova figura iconica nella propria ricerca pittorica. Nel periodo, dopo l’astrazione della pittura d’azione, in cui si stava imponendo una figurazione industriale di massa, di matrice popular oppure si affacciavano le prime sperimentazioni minimaliste, che impiegavano materiali dell’industria, Buren rivitalizzò l’astrattismo. Andò oltre la pittura, sulla via delle bande del diavolo. Quanto di più pericoloso si cela proprio sotto una trasparente innocenza ed innocua banalità .
Rese evidente così, in un certo senso, un celato sentimento demoniaco della società di massa, in una Europa annegata nel boom economico. Dalle tende da sole, tipiche della tradizione mediterranea, prese in prestito la scansione e la verticalità , finalizzandole ad una solare manipolazione artistica del mondo reale.
Nella società del benessere, ricca e fagocitatrice d’ogni esperienza umana, la riduzione al minimo delle forme e dei colori, con materiali poveri, non poté che inaugurare una nuova visione dell’operazione artistica, votata al riduzionismo da una parte e dall’altra, al concettualismo verso aperture vertiginose che ancora oggi non si sono esaurite. L’arte di Buren è un’arte solare e di luce materiale.
Ancora una volta, siamo posti difronte all’azzardo di chi ha il coraggio di rompere con svilenti regole di mercato oppure con illecite consuetudini accademiche, in nome della piena libertà d’espressione, in nome della nostra società occidentale, in cui l’industria e il capitale non devono essere accettati come ineluttabili.
La grande scommessa ancora oggi valida è quindi riscoprire o appropriarsi di un qualcosa che è sotto gli occhi di tutti ma che, come nella lettera rubata di Poe, proprio per tale motivo resta ai più nascosta. Svelare il banale, per delegittimare l’autorità del potere costituito che nell’arte si ammanta della originalità a tutti i costi. Forse è una strada ancora percorribile ma non adesso, nell’immanenza della crisi civile che viviamo. Forse questo un domani sarà il compito di quegli artisti ribelli e nudi, dall’incarnato scuro, distesi al sole del Mediterraneo e dell’avvenire.
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Foto: Monica Ferrari  - Fare, Disfare, Rifare - Palazzo Buontalenti e Piazza del Duomo - Pistoia 25/04/2025                       Â



