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Tracy, un esorcismo e due pacchetti di sigarette

2025-06-03 21:05

The RedChimp

Tracy Emin, Firenze, “Come unto me every time I feel love I think Christ I’m going to be crucified so I close my eyes and I become the cross so beautifull.”, Palazzo Strozzi, Tracy Emin, Firenze, “Come unto me every time I feel love I think Christ I’m going to be crucified so I close my eyes and I become the cross so beautifull.”, Palazzo Strozzi,

Tracy, un esorcismo e due pacchetti di sigarette

L’atrocità dell’amore è il sogno che si concretizza nel tratto sintetico di Emin.

L’atrocità dell’amore è il sogno che si concretizza nel tratto sintetico di Emin. Dopo De Kooning che aveva virilmente sovracaricato di colori e segni drammatici i corpi femminili, Emin ha ridotto a segni essenziali donne e uomini fino alle ossa della sensazione, catturando i loro corpi e trasformandoli nell’esorcismo dei nostri demoni. Le sue scopate reclamano per le donne non solo la tragicità della vita vera ma finalmente anche il ruolo di protagoniste come dive distruttrici del maschile. Ancora una volta le carni delle donne sono scese sulla terra e hanno calpestato il serpente in nome del colore e delle sgocciolature sulle tele lasciate in parte grezze. Il suo è un nuovo immaginario figurativo che ci rappresenta e allo stesso tempo è la nuova poesia dell’amore corroso del vivere. Nell’atto di scopare l’artista ci suggerisce che farsi croce per accogliere il seme profondo del maschio demoniaco è come rinascere al di là del bene e del male. “Come unto me every time I feel love I think Christ I’m going to be crucified so I close my eyes and I become the cross so beautifull.”


 

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Wilde scrisse che la sigaretta è un piacere perfetto perché non soddisfa mai, forse il messaggio di Emin, all’opposto, è quello di ritrovare tale piacere perfetto nell’arte che non potrà mai portare alla soddisfazione degli occhi e della mente. L’artista difatti deve compiere delle scelte per cercare, tentare e trovare alla fine una parziale soddisfazione che però può giungere solo dopo una ferrea presa di coscienza del proprio ruolo sociale. Al che ci domanderemo quanti pacchetti di sigarette servono per comprare i colori dell’amore? Quanti per comprare le tele della carne? E quanti per pagare l’affitto del nostro atelier del dolore?
Le risposte a queste domande si trovano nelle opere di Emin, in particolare in alcune che meglio illustrano il suo mondo sia a livello visivo come I waited so Long oppure in There was blood, sia infine a livello tattile spaziale come in Exorcism of the last painting I ever made. 

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E poi tutte le immagini di Emin sono anche commiste senza soluzione di continuità alle parole. Una relazione forte e insolvibile che rimanda alle origini sacre dell’arte occidentale, quando il verbo si faceva carne, quindi immagine, come nelle antiche cattedrali oppure nelle raffigurazioni a mosaico, a fresco, a tempera su tavola delle vite delle sante.
Ben venga Emin coronata di stelle a parlarci di liquidi seminali, umori vaginali e sudorazioni incontrollabili che si fanno evento e quindi origine delle nostre passioni tramite colori che, dal rosso al nero al blu, si innestano sul bianco fondale dei ricordi e delle emozioni. 
Stesso dicasi per le sue sculture, fusioni di bronzo, memori di un arco che va da Rodin a Moore, e dove ancor più stringente è l’equilibrio ricercato nel difficile bilanciamento tra la materia, la carne e l’assenza.
Ancora una volta l’arte ci sbatte sulla faccia la cruda realtà dei corpi. Ancora una volta la crudeltà del mondo è ricacciata nell’infima tana piccolo borghese.

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